1 ago 2012

“Sette”, “antisette”, “setta degli antisette”, “aiuto” e altre riflessioni (quinta parte)


Le credenze della “setta antisette” italiana

Ho aperto il primo articolo di questa serie con la frase: «definire con precisione che cosa vada inteso per “setta” pare un compito impossibile

Per parte mia, “setta” è quel gruppo organizzato di persone legate da una forte ideologia e da obiettivi comuni che mantiene un comportamento caratterizzato da chiusura verso l’esterno, controllo verso l’interno e da una difesa intransigente dello status quo. Con questo intendo la difesa ad oltranza e dogmatica della propria ideologia, la resistenza estrema al cambiamento, l’insofferenza alla critica, l’esclusione sistematica e ostracizzante di portatori di critica e di potenziale cambiamento, una visione fortemente polarizzata del mondo che viene diviso in “buoni” (quelli come noi, che condividono in modo totale e acritico la nostra ideologia) e in “cattivi” (tutti gli altri).

Per mantenere questo status quo è necessario esercitare controllo sociale interno e mantenere uno stato di guerra permanente con chi, all’esterno, ha idee diverse. Non ultimo, partire dal presupposto che il fine giustifica i mezzi.

Se noi siamo i buoni, se la nostra ideologia è l'unica giusta e si concretizza in “azioni di aiuto” verso le “vittime” o in qualsiasi altra missione salvifica, allora propugnare quell’ideologia e difenderla diventa il fine superiore e ultimo, per cui ogni mezzo per portare avanti la nostra missione è giustificato.

Tale comportamento non è riscontrabile unicamente nei gruppi a matrice religiosa, ma in parecchi gruppi sociali. A “fare setta” non è l’etichetta surrettiziamente apposta da qualcuno, ma come quel gruppo si relaziona al suo interno e con il mondo esterno.

Gli anni di collaborazione con un certo milieu associazionistico “antisette” italiano, l’osservazione di quell’ambiente e del suo modo di operare (in particolare gli eventi dal 2008 in poi), mi avevano spinta a chiedermi se, per caso, non avessi anche io a che fare con una “setta”, quella degli “antisette”.

Come abbiamo visto, l’etimologia stessa della parola “setta” implica due tipi di comportamento: sequor [adesione attiva a una fede o a un’idea] e secare [dividere].

In base alla mia personale esperienza, l’associazionismo ”antisette” italiano li tiene entrambi.

- Adesione attiva a una fede o a un’idea, cioè a una ideologia [sequor]

L’ideologia propugnata dagli “antisette” si basa su due cardini:
  1. i gruppi a cui essi stessi appongono l’etichetta di “setta” sono invariabilmente gruppi pericolosi, abusanti, che per realizzare i propri fini trasformano gli “adepti” in marionette prive di volontà;
  2. l’unico motivo per cui si aderisce a uno di questi gruppi è la “manipolazione mentale” (plagio), che pertanto va sanzionata per legge. La sola salvezza per la “vittima” è farla uscire dal “gruppo pericoloso”, mentre per la società è distruggere il gruppo e castigare i “plagiatori”.
In che modo viene apposta l’etichetta di “setta abusante”? Avvalendosi unicamente dei "racconti dell’orrore" di alcuni ex membri e delle preoccupazioni dei familiari che si rivolgono alle “associazioni antisette”.

Wilk sostiene che «Un'ideologia si dimostra molto più specifica di un insieme generale di valori e comprende affermazioni logiche reali sul mondo. La trasformazione di tali affermazioni in ideologie avviene nel momento in cui gli individui le accettano come fatti, benché si tratti soltanto di verità parziali e relative.» [1]

I racconti dell’orrore di alcuni ex membri e le preoccupazioni dei familiari possono certamente essere veritieri, ma in questo caso si tratta di verità parziali e relative. Possono però anche essere falsi, e talvolta nascondere motivazioni diverse che non vengono rivelate. Sulla credibilità di ex membri e familiari preoccupati sono stati scritti fiumi di inchiostro. Con questo non si vuole negare che si verifichino abusi e violenze (a volte estremi) o che alcuni genitori non manifestino preoccupazioni legittime, ma solo sottolineare che non TUTTI coloro i quali si rivolgono alle associazioni sono sinceri o credibili.

La natura reale di un gruppo sociale può essere conosciuta solo con metodi di analisi che tengano conto di una pluralità di fattori e di variabili. Apporre su base puramente ideologica e parziale l’etichetta di “setta abusante” a un gruppo intero è esso stesso un abuso che può portare con sé conseguenze gravi sia di stigma sociale, sia a livello relazionale e psicologico per chi si vede accusato ingiustamente di qualcosa. Ben sappiamo quanto la stampa può essere famelica quando sul piatto vengono messe parole come “setta”, “psicosetta”, “setta satanica”, “sesso”, “abusi sessuali”, “abusi sui minori”.

- Dividere [secare]

Il comportamento teso alla divisione, alla separazione, all’ostracismo viene tenuto a più livelli. Forti della loro ideologia, le associazioni “antisette” appongono l’etichetta infamante di “setta abusante” a interi gruppi sociali. Trattandosi di “setta abusante”, quel gruppo deve allora essere espulso, separato dalla società che invece va protetta; le “vittime” lo sono di tutto il gruppo e devono essere “portate via”, “tirate fuori”, divise dalla loro congregazione. Molto significativa a questo proposito è la risposta della Dott.sa Tinelli, presidente del CeSAP, a una signora che le chiedeva aiuto: «Di questo gruppo non ho mai sentito parlare. Ma stia tranquilla, sua sorella la tireremo fuori…» [2]

Una ideologia che considera “plagiato” ogni membro di un gruppo alternativo porta con sé il tentativo di convertire a tale visione anche i parenti preoccupati che si rivolgono alle associazioni, con il serio rischio di ingenerare conflitti e divisioni in famiglia.

Inoltre, chi viene considerato “settarolo” non merita neppure di essere ascoltato, perché visto come portatore o diffusore di un “cancro sociale”. È qualcuno da cui tenersi alla larga, con cui non mescolarsi. Significativi a questo proposito il rifiuto dell’ARIS di incontrare Pietro Bono (affiliato ad Arkeon) [3] e la reazione degli “antisette” all’intervista rilasciata da Fabio Alessandrini, figlio dei fondatori della FAVIS, i quali da anni sostengono che il figlio è stato plagiato da una “santona”.

Come abbiamo visto, la medesima chiusura si manifesta nei confronti di chi sollevi critiche sull’operato degli “antisette”. Si tratti di studiosi o di semplici cittadini, essi vengono subito etichettati come “amici delle sette”. È un facile slogan che ferma sul nascere ogni voglia di riflessione, di approfondimento, di confronto diretto e ancora una volta divide il mondo in “amici” (“chi la pensa come noi”, i buoni) e “nemici” (gli “amici delle sette”, i cattivi).

Alcune settimane fa il sito “Libero Credo” ha pubblicato una “lettera segreta” molto interessante scritta dal Forum delle associazioni ecc. (ARIS, FAVIS, CeSAP) a tre senatori della Commissione Giustizia che si sta occupando del disegno di legge sulla reintroduzione del reato di plagio.

La lettera contiene alcuni elementi degni di nota:
  • non è indirizzata a tutta la Commissione Giustizia: i destinatari sono invece soltanto i senatori favorevoli a quella legge;
  • la lettera riporta solo una lunga lamentela su quanto affermato in Commissione dagli studiosi contrari alla legge.
Benché auspichino «un confronto aperto e sereno», le associazioni evitano di scendere nell’arena del confronto pubblico (scientifico e dialettico) e, a differenza degli studiosi che stanno criticando, non fanno mettere ai pubblici atti il loro pensiero. Al contrario, preferiscono lamentarsi in privato con persone di cui al più possono solleticare l’emotività, ma che non sono studiosi di funzionamento e dinamiche dei gruppi, in particolare dei gruppi religiosi.

Nella lettera le associazioni ritengono che «simili intransigenti posizioni [quelle degli studiosi] non siano certo di aiuto a un dialogo proficuo e dunque alla corretta comprensione del fenomeno settario». La dimostrazione che loro, in quanto Forum, non mantengono affatto “posizioni intransigenti” la si trova in altre due lettere inviate ai Commissari e, in copia, alla Squadra Anti Sette della Polizia di Stato cui sono i referenti privilegiati.

Nella prima denunciano «il verificarsi di fatti gravissimi»: Fabio Alessandrini, figlio del portavoce del Forum delle associazioni ecc., ha rilasciato una intervista TV in cui espone il suo punto di vista (nettamente contrastante con i racconti del padre). Quella intervista è stata caricata su YouTube e linkata da più siti internet; anche la sottoscritta s’è permessa di consigliarne l’ascolto, perché il minimo che si possa fare se ci si vuole approssimare alla «corretta comprensione del fenomeno settario» è ascoltare tutte le voci.

Nella seconda lettera ai medesimi destinatari, il Forum delle associazioni ecc. si lamenta del fatto che la Dott.ssa Di Marzio ha pubblicato sul suo blog un messaggio di Fabio Alessandrini e gli ha addirittura risposto...

La reazione di chi auspica «un confronto aperto e sereno» e «un dialogo proficuo» è stata quella di chiedere alla polizia di indagare su ciò che paventano come un «concorso [...] tra i soggetti sopra menzionati», il cui «intento manifestamente diffamatorio e lesivo, si configurerebbe [...] anche quale inequivocabile condotta preventivamente orchestrata [...] mettendo in luce [...] una delle consuete strategie d’azione attuate da gruppi cultistici abusanti e/o da soggetti a essi legati, nonché da coloro che [...] ne sostengono alcune finalità

Ed ecco riapparire il vecchio ritornello “amici e complici delle sette”. Chi si permette di criticare l’operato e l’ideologia di quelle associazioni viene presentato come un deviante (“gruppi cultistici abusanti” e “soggetti a essi legati”) che non merita ascolto, che va separato dalla “società civile” (rappresentata in questo caso da Senatori della Repubblica e da organi dello Stato) e perseguito dagli organi di polizia (la Squadra Antisette).

Ancora in tema di «confronto aperto e sereno» e di «dialogo proficuo» che sia di aiuto «alla corretta comprensione del fenomeno settario», vanno senz’altro citate le conferenze e i convegni organizzati ogni anno a livello nazionale e internazionale, e i contributi ad essi apportati dai rappresentanti “antisette”.

Le associazioni si attivano per organizzare conferenze, per esempio quelle di Aosta, di Mestre, di Nichelino, di Pescara, di Bari. Ma più che “a tema”, si tratta di conferenze monotematiche e autoreferenziali, in cui i relatori condividono tutti la stessa ideologia e perseguono i medesimi obiettivi.

Ogni anno la FECRIS organizza un convegno internazionale, momento di incontro per tutte le associazioni “antisette” federate. Ho partecipato a tre di essi: Bruxelles 2006, Amburgo 2007, Pisa 2008. L’ingresso a questi eventi è riservato unicamente alle associazioni e ai loro invitati; i relatori provengono unicamente dall’ambiente “antisette”. Ricordo che un noto studioso italiano nel 2008 avrebbe voluto partecipare, ma le associazioni nazionali rifiutarono di estendergli l’invito in quanto affiliato a una associazione percepita come concorrente e non lo volevano a “curiosare”.

Ho partecipato a tre convegni ICSA (International Cultic Studies Association) che, data la sua storia, non può certo essere definita “amica delle sette”: nel 2007 a Bruxelles ero l’unica italiana; nel 2009 a Ginevra, benché fosse stata organizzata una sezione interamente in italiano, nessun rappresentante delle cinque associazioni che compongono il Forum ecc. ritenne di partecipare. Lo stesso avvenne a Roma nel 2010.

Ma sono proprio la partecipazione a quel tipo di convegni e la presentazione di proprie relazioni che permettono il «confronto aperto e sereno» e il «dialogo proficuo» che insieme portano alla «corretta comprensione del fenomeno settario», non certo il rinchiudersi nella propria realtà autoreferenziale dove ci si dà ragione a vicenda e si sbarra il passo a prospettive diverse.

L’esperienza personale maturata in certi ambienti – sia in Scientology 30 anni fa, sia in ambito “antisette” in periodi più recenti – la riflessione sul significato etimologico della parola “setta” e l’osservazione di alcuni comportamenti e atteggiamenti, mi fa concludere che, anche in Italia, si può parlare di una “setta antisette”.

Capisco che a un certo associazionismo o ai suoi singoli attivisti possa non piacere essere definiti “setta”, ma è la stessa Dott.ssa Tinelli, presidente del CeSAP, a insegnarci che:
Il termine setta deriva dal latino secare (separare) e sequor (seguire) [qui]
poi tra l’altro pare che esista una sentenza recente che definisce non un reato parlare di setta, quindi si può anche parlare di setta ...
deriva dal latino sequor, seguire, quindi non è una… non ha assolutamente un significato negativo. [qui]

Continua...


Note:

1. Richard Wilk, Economie e culture, Bruno Mondadori.

2. Nel secondo articolo di questa serie, alle note 2 e 3, ho riportato alcuni passaggi di una relazione di Anson Shupe sulla forma mentis e il modus operandi degli operativi del CAN, una delle maggiori “associazioni antisette” americane chiusa per bancarotta alla fine degli anni ’90.

La forma mentis dimostrata dalla Dott.sa Tinelli nella sua risposta sembra ricalcare quella del CAN, come anche quella di Maria Pia Gardini, altra visibile esponente dell’associazionismo “antisette” italiano, che in un’intervista RAI ha dichiarato: «Da quando sono uscita da Scientology io mi sono dedicata ad aiutare le persone a uscire [...] io finora ho tirato fuori 52 persone. È quello che io farò fino a che avrò un attimo di respiro

Ecco che cosa scrisse Shupe:

«È noto che quando Kathy Tonkin, madre di tre figli pentecostali per cui era in cerca di deprogrammazione, contattò il CAN, né il capo deprogrammatore ed “esperto biblico” Rick Ross né alcun altro al CAN avevano mai sentito parlare della Tabernacle Life Church. Ma la faccenda si dimostrò irrilevante poiché il CAN disponeva di una rete infinitamente ampia atta a monitorare le possibili “sette” e, con spirito imprenditoriale, dava per scontato che la maggioranza dei gruppi su cui riceveva richieste di informazioni giustificasse “l’intervento” [la deprogrammazione o “exit counseling”] a favore delle famiglie. [...] [Il ragionamento sottostante] sembrava essere: “Tutti i gruppi che ci vengono segnalati, o che danno fastidio a qualcuno, richiedono un intervento”. Il risultato fu una stagione [di caccia] aperta non solo ai nuovi movimenti religiosi, ma a qualunque organizzazione lasciasse presupporre una disciplina accettata con entusiasmo, 'auto-maestria', 'auto-miglioramento', 'auto-sostentamento' e che mantenesse credenze spirituali profonde.» (“CAN, We Hardly Knew Ye: Sex, Drugs, Deprogrammers’ Kickbacks, and Corporate Crime in the (old) Cult Awareness Network”, Shupe. A., Darnell, S.E., 2000, SSSR).


3. Si veda anche qui. Qualche anno fa segnalai a un dirigente di “associazione antisette” l’interessante blog di Pietro Bono e le sue riflessioni sempre pacate, puntuali e documentate. È lecito non condividere le sue conclusioni, ma resta un materiale interessante che per un operatore del settore è doveroso conoscere. Il dirigente mi rispose che lui non aveva tempo da perdere nella lettura del “blog di un settarolo”.


2 commenti:

  1. Hai scritto:
    << L’ideologia propugnata dagli “antisette” si basa su due cardini:

    1. i gruppi a cui essi stessi appongono l’etichetta di “setta” sono invariabilmente gruppi pericolosi, abusanti, che per realizzare i propri fini trasformano gli “adepti” in marionette prive di volontà;

    2. l’unico motivo per cui si aderisce a uno di questi gruppi è la “manipolazione mentale” (plagio), che pertanto va sanzionata per legge. La sola salvezza per la “vittima” è farla uscire dal “gruppo pericoloso”, mentre per la società è distruggere il gruppo e castigare i “plagiatori”. >>

    Questi due concetti che dai dei gruppi antisette italiani mi sembrano un po' irreali, e penso che questa impressione la possono avere parecchi che li leggano.

    Pero' io conosco poco o nulla questi gruppi antisette, quindi mi astengo da altri giudizi.

    Volevo comunicarti la mia impressione, che puo' essere quella di tanti altri lettori.

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  2. Ti ringrazio per le osservazioni che mi hai mandato.

    Ho frequentato l'ambiente dell'associazionismo antisette per diversi anni, un paio dei quali in modo meno periferico. Nei 15 anni da quando ho cominciato a interessarmi del fenomeno ho avuto modo di interagire anche con l'antisettarismo straniero: convegni, forum, newsgroup, mailing list, contatti diretti con singoli e dirigenti.

    Ho immancabilmente riscontrato la presenza dei due cardini ideologici di cui ho parlato, in alcuni in modo forse meno esasperato e più possibilista, ma c'erano sempre perché costituiscono la base stessa dell'impianto antisettario. Senza quella ideologia non ci sarebbero nemmeno gli "antisette". E' un fondamento ideologico che scaturisce da due autori ben precisi che infatti vedrai sempre citati in ambito anticult e che io ho definito "bibbie antisette": i libri di Steven Hassan e di Margaret Singer.

    Nel (mi pare) post successivo ho scritto della difficoltà a comprendere il vero pensiero dell'antisettarismo organizzato italiano perché, in linea di massima, è un mondo che non produce articoli per cui l'aspetto ideologico resta sottotraccia. Per rendersene pienamente conto è necessario il contatto diretto, la consultazione dei loro siti non è sufficiente.

    E' però possibile riscontrare presenza e solidità dei quei due cardini ideologici nelle diverse interviste radio-TV fatte ad alcuni dirigenti. Sul Temperino ho linkato alcune trascrizioni, altro materiale è reperibile negli stenografici della Commissione Giustizia del Senato rif. DDL 569. Il 5 maggio scorso fu registrata l'intera audizione, poi disponibile su radioradicale per un paio di settimane. Anche questi articoli di Don Aldo Bonaiuto (referente della Squadra Anti Sette della polizia) rendono bene l'idea

    http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=8803

    se scendi a fine pagina trovi i link agli articoli precedenti.

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